Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato di Eugenio Montale: analisi e commento

Spesso il male di vivere ho incontrato” è una celebre poesia di Eugenio Montale contenuta nella sezione omonima dell’opera “Ossi di seppia” pubblicata nel 1925.

Questo componimento racchiude sinteticamente ma in modo efficace quello che è il fil rouge di tutta la produzione letteraria di Montale.

Analizziamone insieme il significato e la metrica.

Il commento a “Spesso il male di vivere ho incontrato”

Il filo conduttore accennato poc’anzi è il male di vivere, inteso come un’angoscia in grado di attanagliare l’animo umano ed assumere sembianze sempre nuove.

La poesia su suddivide, graficamente e concettualmente, in due sezioni.

Nella prima strofa il poeta narra di aver più volte avvertito ed incontrato un malessere esistenziale icasticamente ravvisato e ravvisabile in situazioni ordinarie.

Non si tratta di un dolore riferito esclusivamente ad eventi intrinsecamente tragici, bensì di qualcosa di più profondo e viscerale che coinvolge anche la natura circostante.

Allo sguardo di Montale tutto appare in preda alla sofferenza: dal ruscello il cui gorgoglio appare come un lamento o alla foglia che pare accartocciarsi sotto i cocenti raggi del sole o ancora, al cavallo che, stremato, cade al suolo.

Nella seconda sezione c’è una riflessione di Montale su quale possa essere un rimedio, una soluzione a questo sentire così doloroso ed intenso, a questo farsi carico della sofferenza di ogni essere umano.

La sola possibilità si salvezza viene identificata nella divina Indifferenza, la cui grafia maiuscola ne evidenzia il carattere eccezionale e salvifico, come se appunto fosse una divinità.

Il poeta ritrova questo distacco in tre elementi: la statua assorta nella pigrizia del pomeriggio, nella nuvola e nel falco in volo.

Solo così, ponendosi in una condizione di distacco dal resto, è possibile non lasciarsi sopraffare dal male di vivere.

L’analisi metrica del brano

“Spesso il male di vivere ho incontrato” si compone di due strofe da quattro versi (quartine) di endecasillabi, ad eccezione dell’ultimo verso che invece è un settenario doppio.

La struttura delle due quartine è simmetrica.

La prima strofa presenza una rima incrociata con schema ABBA, mentre la seconda segue lo schema CDDA.

Le figure retoriche presenti sono:

  • Enjambement: ai vv. 3-4 e 7-8.
  • Anafora: ai vv. 2-3-4 “era”.
  • Anastrofe: al v. 5 “bene non seppi”.

Circa Feliciana

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