Si tratta di una delle figure retoriche più conosciute e divertenti da individuare. Come per l’allitterazione e l’anafora, anche l’onomatopea è una figura retorica di suono. La sua denominazione deriva dal greco ὄνομα, -ατος nome e ποιέω fare, e quindi significa letteralmente “creare un nome”.
Il suo scopo è richiamare o evocare un suono in modo diretto e chiaramente distinguibile. La lingua imita rumori, suoni, versi di animali, e molto altro, traducendoli in parole e in fonemi veri e propri.
Questo significa che il processo cambia di lingua in lingua e la sua genesi resta arbitraria. Tutti conoscono l’onomatopea, dicevamo, perché sono abituati a leggerle nei fumetti dove assumono oltre che una veste fisica anche particolari caratteristiche grafiche particolari. Le onomatopee sono di facile intuizione e spesso vengono utilizzate all’interno di un registro adatto ai più piccoli.
Come riconoscere l’onomatopea?
Quelle utilizzate nei fumetti sono solo una particolare classe di onomatopee. Nei fumetti di origine americana, in particolare quelli dei supereroi in cui si svolgono tanti combattimenti e azioni che in questo modo non venivano descritte a parole, quanto piuttosto si utilizzavano le onomatopee per rendere il testo partecipativo. Il testo diventa parte della scena e protagonista della vignetta.
L’onomatopea deriva dalla capacità dell’uomo di trasformare tutto ciò che lo circonda in linguaggio, e il dizionario onomatopeico è un vero e proprio altro tipo di linguaggio che siamo in grado di capire e in alcuni casi migliora l’intento comunicativo.
Onomatopea: esempi poetici
All’interno dei testi poetici, l’onomatopea ha una funzione evocativa molto forte e intensa. Basti pensare alla poesia di Giovanni Pascoli, L’assiuolo qui riportata e tratta dalla raccolta Myricae:
“Dov’era la luna ? Ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù…
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?… );
e c’era quel pianto di morte…
chiù…”
L’uccello è stato soppiantato dal suo verso in questa poesia che rende alla perfezione l’intento del poeta: è buio e il senso della vista è ottenebrato, e i suoni intorno si amplificano e prendono vita, come quando si è spaventati e le orecchie percepiscono qualsiasi movimento e ne attribuiscono un nome, un fonema, chiù.
Il chiù dell’uccello è un suono lontano che ci richiama e allo stesso tempo ci porta lontano.
Ecco un altro esempio dell’utilizzo poetico dell’onomatopea, proveniente da una poesia di Gabriele D’Annunzio, L’onda tratta da Alcyone:
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella, numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
Le parole qui si sono trasformate direttamente nell’onda che bagna la spiaggia e che pian piano si personifica come creatura vivente.
All’interno del movimento del futurismo, le onomatopee hanno rappresentato il fulcro intorno al quale costruire una vera e propria ideologia: i rumori delle auto, delle fabbriche in azione, del progresso che avanza e non si arresta mai è stata rappresentato direttamente dalle onomatopee da autori come Filippo Tommasi Marinetti:
forza che gioia vedere udire fiutare tutto
tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare
a perdifiato sotto morsi shiafffffi traak-traak
frustate pic-pac-pum-tumb bizzzzarrie
salti altezza 200 m. della fucileria
Giù giù in fondo all’orchestra stagni
diguazzare buoi buffali
pungoli carri pluff plaff impen-
narsi di cavalli flic flac zing zing sciaaack
ilari nitriti iiiiiii… scalpiccii tintinnii
battaglioni bulgari in marcia croooc-craaac
[ LENTO DUE TEMPI ] Sciumi Maritza
o Karvavena croooc-craaac grida degli
ufficiali sbataccccchiare come piatttti d’otttttone
pan di qua paack di là cing buuum
cing ciak [ PRESTO ] ciaciaciaciaciaak
su giù là là intorno in alto attenzione
sulla testa ciaack bello Vampe
…”
Marinetti, Zang Tumb Tumb
Le onomatopee qui non si preoccupano di evocare, quanto piuttosto di dire, di sottolineare i rumori asfissianti della città, il cui frastuono è così forte da spegnere i pensieri.
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