Tra gli errori più comuni della lingua italiana figura quello della confusione tra omonimi, ossia di parole che si scrivono praticamente allo stesso modo.
- Un caso di questo tipo lo vediamo con la confusione che spesso si fa tra le due parole ne o né, omonime appunto, ossia scritte allo stesso modo tranne che per l’uso dell’accento.
L’accentazione ha qui il potere di distinguere le due parole che assumono un significato grammaticale diverso, capace di mutare drasticamente il senso della frase cui appartengono.
Ne o né: “Ne” senza accento
Nel primo caso, abbiamo “ne” senza accento grafico che, scritto in questo modo, può appartenere a due categorie grammaticali: la prima è quella di avverbio, nello specifico di luogo, reale o figurato, che esprime l’allontanamento, come ad esempio nella frase “ne vuole uscire immediatamente”.
Nel secondo caso, invece, il ne atono ricopre funzione di pronome personale, come ad esempio nella frase “ne parlerò con il mio avvocato”, a sostituire un altro sintagma come “di questa storia” o “di questa faccenda”, onde evitare ripetizioni con quanto già detto nel discorso.
Esiste ance una terza funzione, quella di partitivo, come nella frase “ce ne sono altre di mele?”, dove il “ne” esprime la quantità definita, la parte di un tutto.
Ne o né: “Né” con accento
Il secondo “né”, invece, con accento acuto sul finale, ha sostanzialmente un unico ruolo, ossia quello di congiunzione copulativa con significato negativo.
- E’ utilizzato soprattutto per legare due elementi del discorso di pari importanza che vanno coordinati negativamente, siano essi proposizioni (“non l’ho visto né sentito”) o, come nella frase “non parlerò né con gli uni né con gli altri”,.
L’importanza dell’accento
Si tratta di un caso in cui due monosillabi omonimi mutano la propria natura e quella della frase in cui sono utilizzati grazie all’uso di un accento grafico, che non produce cambiamenti sulla pronuncia, ma sulla loro scrittura e sul loro ruolo grammaticale.